Io non li ho letti tutti: dopo aver divorato Sangue Marcio, il suo romanzo di esordio, ambientato in una L’Aquila insolitamente violenta, non avevo continuato la frequentazione con questo autore prolifico e brioso, sì, ma abituato, in maniera per me insopportabile, a prevedere finali aperti alle sue storie.
Se ho rotto ogni indugio, stavolta, è stato per il titolo.
Nei primi dodici anni del XXI secolo, infatti, siamo stati in molti a fantasticare sulle date “triple”, in cui giorno, mese ed anno sembravano avere uno stesso numero e suggerire, così, un senso a questa vita insensata.
Conoscevo già Rocco Schiavone, il protagonista, dai racconti nelle sillogi gialle della Sellerio e ne avevo apprezzato l’arguta brutalità con cui corazza il cuore convalescente.
In 7-7-2007 viene finalmente svelato chi, come, quando e perché ha frantumato quel cuore.
La scena del primo crimine è una cava di marmo. Un fulmine, per me, che quando visitai le cave di Fantiscritti, a Carrara, mi dissi che qualcuno avrebbe prima o poi dovuto scrivere del rosso acceso del sangue su quel candore abbagliante: eccomi ben servita, dunque.
L’azione si svolge poi fra le vie e i garage di Roma e si permea del cinismo disperato con cui i romani si difendono dal mondo.
Ecco per esempio come Caterina dipinge le sue origini: “ho avuto un padre assente e che quando era presente era meglio restasse assente, e una madre invece presente che sarebbe stato meglio fosse stata assente”.
Ed ecco come vengono liquidate le poesie troppo ermetiche di un preside: “SI nasconde dietro uno stile molto criptico, perché credo che in realtà non sia trasparente il suo pensiero. Insomma, più che uno stile il suo è un rifugio“.
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