Il film “La buca”

Decisi a vedere “La buca” oggi stesso, 25 settembre 2014, giorno della prima nazionale.

Decisi nonostante tutto marci contro: il biglietto del cinema a 7,50, praticamente il doppio di quanto costi il martedì, il temporale violento che ha paralizzato il traffico, gli impegni del pomeriggio che ci hanno fatto giungere al cinema trafelati mentre già scorrevano i titoli di testa.

Decisi perché, dopo il breve abboccamento ad Aliano, consideriamo Rocco Papaleo quasi un amico e facciamo fortemente il tifo per lui.

Tanto grande è stata la fiducia e tanto risicato il tempo che di questo film non avevamo altra notizia oltre il nome dell’attore protagonista.

Papaleo veste i panni di un galeotto alla fine della pena. Tutto gli è ostile: i suoi cari non lo riconoscono e non lo accettano, la città è tanto cambiata che gli si erge contro ostile e sconosciuta, la pioggia, addirittura, lo fa ammalare. Ha lo sguardo straniato, cammina vinto, arreso alle ingiustizie del mondo, ingenuo nella sua inossidabile onestà.

Ha scontato una colpa non sua: serviva un colpevole e un avvocato difensore “molto gentile, che non interrompeva mai l’accusa” lo ha tradito. Ma Papaleo non è capace di provar rancore.

L’incontro con Sergio Castellitto, che, al contrario, incarna un avvocato disonesto, misantropo, pieno di tic e di idiosincrasie, offre da subito fuochi d’artificio.

La forza del film è proprio questa: passare quasi impercettibilmente da un registro drammatico ad uno comico, di una comicità, però, dolente e agrodolce, che strappa risate e insieme suscita riflessioni.

Il regista, Daniele Ciprì, è bravissimo nell’illuminare progressivamente una scena dapprima molto cupa offrendo spiragli di luce sempre maggiori a un Papaleo che va in crescendo e che ci dona una performance strepitosa, soprattutto nella parte finale del film.

Grande imputata, in questa storia, è la Giustizia, o meglio il mondo corrotto e distratto in cui operano legulei e magistrati indegni che nient’altro domandano se non il tormentone “Chi vi manda? Amici di? Parenti di?”

I criteri attraverso cui i giudici deliberano sulla vita e sull’onore del protagonista e l’intero processo sono fra i momenti più divertenti (o almeno lo sarebbero se non serpeggiasse nella mente dello spettatore il sospetto che queste scene di straordinaria corruzione non siano troppo dissimili dal vero) di un film che, comunque, ha un suo singolare polo di attrattiva nella prepotente presenza scenica del cane Sioux che ha più volte strappato alla platea gridolini deliziati.

Pubblicato da Benedetta Colella

Sono Benedetta, quarantenne aquilana innamorata del mondo. Per contatti e collaborazioni, potete scrivermi a benedettacolella(at)gmail.com