Il Bosco di Sant’Antonio, perla della Majella (AQ)

Vivere a poche decine di chilometri dal Bosco di Sant’Antonio di Pescocostanzo ha vantaggi e inconvenienti.
I primi sono facili da individuare: per raggiungere uno dei luoghi più suggestivi d’Italia non devi pianificare il viaggio né fare il pieno alla macchina.
I secondi, però, sono assai umilianti: non appena il piede abbandona l’asfalto e il mondo si tinge dei mille colori della natura, non appena l’aria si fa più respirabile e le gambe vengono percorse da un’insolita frenesia di movimento, non appena l’udito si abitua allo scricchiolio delle foglie e all’uggiolio degli animali, non appena, cioè, ti avvolge la malia del Bosco di Sant’Antonio, ti senti uno sciocco.
Sciocco, perché ti sei privato per mesi di un paradiso a portata di mano.
Sciocco, perché hai sognato sui paesaggi da favola postati sui social quando sarebbe bastato poco per entrare dentro la cornice, nel meraviglioso quadro dipinto dalla Natura che è il Bosco di Sant’Antonio.
Il punto picnic principale, nell’ampio altopiano, è estremamente armonioso: le panche in legno sono isolate l’una dell’altra e un esteso prato verde fa da moquette agli innamorati.
I faggi stessi sembrano infiniti candelieri che accompagnano ogni passo .
In autunno, poi, i colori cangianti delle foglie imprimono al bosco di sant’Antonio una nuance rossastra che ben s’abbina all’amore.
In un angolo alla periferia del Bosco Difesa sorge un eremo, suggestivo per lo lo spirito ma non per l’occhio. Si sa poco di questa costruzione: un’epigrafe lo data all’anno Mille, un cartello informativo lo fa risalire al XIV secolo, un altro ancora a pochi metri ne fissa la prima attestazione al 1500 inoltrato, l’apparenza spingerebbe a posporre di qualche secolo ancora l’erezione di questa chiesuola con annessa foresteria.

L’Eremo di Sant’Antonio

Probabilmente fu diruta e ricostruita più volte come sostegno ai viandanti, non certo come opera d’arte.
Mi piace pensare che di fronte all’armonia del Bosco di Sant’Antonio l’uomo abbia ceduto le armi e rinunciato a contendere con l’arte alla perfezione della natura.
Poco distanti, altri due colli sono stati salvati dalla furia distruttiva degli anni Cinquanta, quando addirittura si pensò di disboscare tutto per fatturare subito ricavi dalla vendita di legname.

Alla base del Primo Colle sorgono villette importanti, che recintano praterie più che prati.
Forme insolite, tetti totalmente spioventi, portoni in ferro battuto: no, non sono ecomostri eppure mi sembra strano che qualcuno possa aver ottenuto, per sè solo, quel che dovrebbe essere patrimonio comune e che, avutolo, lo snobbi al punto da tener serrati mesi e mesi gli imponenti portoni.

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Pubblicato da Benedetta Colella

Sono Benedetta, quarantenne aquilana innamorata del mondo. Per contatti e collaborazioni, potete scrivermi a benedettacolella(at)gmail.com