Non lo troverai mai uguale a se stesso.
E non è solo questione di luce, di clima o di stagione: Campo Imperatore cambia da un’ora all’altra, fra l’andata e il ritorno di uno stesso tragitto.
Non ci sono infatti manufatti umani a fermare l’eterno fluire della vita: nello spazio sterminato di montagne che paiono colline, di alture che sembrano dolci e spezzano le gambe, il Gran Sasso si erge sullo sfondo come l’unico dente superstite in una bocca guasta di gengive.
In un mondo di mucche al pascolo e pecore attorno agli stazzi, tu, uomo, sei finalmente in minoranza; la tua macchina attraversa l’altopiano come una pulce fra le pieghe cutanee di un elefante, incongrua, insignificante.
E ti fai piccolo anche tu.
Non trovi a terra l’immondizia arrogante di chi scambia il mondo per la sua pattumiera, non senti rombare motori nè stridere voci: solo ad agosto, quando il freddo si fa fresco e il tempo si dilata, arrivano i motociclisti a profanare la strada e accorrono le famiglie a ripopolare le aree picnic, colonizzando l’aria con l’odore intenso delle braci.
E la natura arretra.
Si assottigliano i laghetti stagionali in cui d’inverno si specchiano i monti, si seccano i pascoli, si contraggono gli spazi.
Poi, con l’autunno, tutto torna incontaminato.
Ed io mi meraviglio sempre che resti escluso dai circuiti turistici un luogo così insolito, set naturale di innumerevoli film, piccolo Tibet in paesaggio lunare.
Poi guardo l’ecomostro che ancora deturpa la fossa di Paganica, ossario di un abortito albergo fra i monti, e mi assale la consapevolezza che a Campo Imperatore non c’è neppure una siepe, per quanto brulla, a delimitare gli interminati spazi e i sovrumani silenzi di un luogo magicamente corrispondente all’infinito che il grande Recanatese si finse e che in Abruzzo la Natura scolpì.
Altre suggestioni, diversa bellezza caratterizzano il versante Nord di Campo Imperatore, quello degli impianti, della funivia, dell’albergo in cui fu imprigionato Mussolini. Ve le racconterò in una prossima puntata.
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