Castel Trosino: la piccola vedetta picena (AP)

Castel Trosino è stato per Ascoli Piceno un navigatore satellitare ante litteram.

Dall’alto dello sperone roccioso su cui è incistato il Castello lo sguardo spazia lontano: era facile avvistare nemici, facilissimo intercettare segnali luminosi dalle alture circostanti.

E, se il pericolo fosse diventato pressante, ci avrebbe pensato la porta possente a proteggere l’unico accesso a un borgo per altri versi irraggiungibile.

L’ingresso a Castel Trosino

Le sfide della modernità

Castel Trosino è oggi per Ascoli un’opportunità da non perdere: il turismo di prossimità mira alla riscoperta di questi gioielli ereditati dalla storia.

Un restauro attento e la cura quotidiana dei pochi abitanti del borgo lo rendono già appetibile per i villeggianti e fruibile per i registi: perché anticare se l’antico è così ben conservato?

Il nostro primo impatto è cromatico.

A sinistra fulge il verde appuntito della foresta, a destra il marrone rassicurante della pietra.

La contemporaneità non è invitata in questo connubio fra arte e storia.

Anche l’accesso al borgo, attraverso l’unica porta, è interdetto alle auto, che del resto non avrebbero vita facile tra le stradine selciate.

Il restauro di Castel Trosino

L’uomo ha colonizzato quanto ha potuto di questo sperone roccioso: le case sono ovunque, con un’urbanistica dettata dall’emergenza, ma con l’architettura curata di chi non rinuncia al gusto.

Guardando fra le pietre in travertino delle facciate, scopriremo tante enclave: nicchiette con madonnine, mattoni più smussati, fiori e piante ovunque.

Il giardino belvedere, a ridosso delle mura, è delizioso, ma la stessa cura per il verde anima ogni casa.

Il giardino belvedere di Castel Trosino

Anche quelle disabitate omaggiano il turista: dai vetri delle finestre si scorgono statue e piante posizionate ad arte per la valorizzazione del borgo.

Su tutte, spicca la casa della regina, con la sua scalinata e il bel loggiato tirafoto.

La leggenda vuole che la abitasse la donna che rubò il cuore di re Manfredi, se non addirittura il sovrano stesso quando cadde in disgrazia.

Chissà invece chi la abita ora…

Di fronte c’è l’unico ristorante del luogo, La Tana del Longobardo, che deve il suo nome al ritrovamento, extramoenia, della più grande necropoli longobarda d’Italia. Ci si arriverebbe con un’agevole camminata, dicono, ma il tempo era tiranno: torneremo a visitarla!

Chissà se troveremo ancora i biglietti di selfhelp di cui è disseminato il borgo, probabilmente iniziativa estemporanea, artisticamente discutibile, forse, ma a me tanto gradita.

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Pubblicato da Benedetta Colella

Sono Benedetta, quarantenne aquilana innamorata del mondo. Per contatti e collaborazioni, potete scrivermi a benedettacolella(at)gmail.com