L’unica remora era l’eccessiva cortesia del proprietario, sempre premuroso fino all’invadenza: “ti sevizia di gentilezze” diceva di lui la mia comarella.
Dopo il terremoto, sono cambiati il luogo, una traversa della trafficatissima via Mausonia, la struttura, una bella villa in legno con ampio salone dalla pianta irregolare, e la verve del proprietario.
Oggi abbiamo ricevuto un’accoglienza tiepida, se non fredda: nessuno ad accoglierci nonostante l’assenza di clienti, solo un cenno di assenso alla richiesta di un tavolo, insofferenza al momento dell’ordine.
“Che vi faccio? ah, due fettuccine con funghi e tartufo vanno bene?”
“C’è qualcos’altro?”
“Beh, anche una chitarra alla pecorara”
“Uhm, interessante”
“Ma no, con questo caldo la ricotta! No, no, prendete le fettuccine, sentite me!”.
Abbiamo obbedito, molto perplesse.
L’antipasto all’italiana, portatoci di lì a breve, è stato molto eterogeneo: buonissimi il formaggio e il salame, decoroso il prosciutto, non particolarmente fresca la ricotta, amarissimo un salume speziato che ho rimandato indietro senza rimpianto.
Le famose fettuccine, discrete, non avevano tartufo, ma una più blanda salsa tartufata parcamente disposta e molto asciutta.
La mia amica ha chiuso il pasto con un caffé che sarebbe sembrato annacquato anche negli Stati Uniti, direttamente in bicchiere dalla moka di famiglia.
E non è stata neppure questa l’ultima delusione: neppure il conto, 37,50 euro, ci ha invogliato a ripetere l’esperienza.
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