Craco, simbolo dell’abbandono, allegoria del Sud.
Era un luogo che da tempo stuzzicava le mie fantasie. L’ho raggiunta da Aliano in base ad un equivoco: trenta chilometri di distanza sono sembrati a me e ai miei amici una bazzecola, una formalità. Noi, popolo delle superstrade, pensavamo di farcela in un quarto d’ora e invece la strada si sommava alla strada, le curve, spesso incongrue, ci avvicinavano e allontanavano da un paese che a tratti ci è sembrato irraggiungibile.
Caparbi, non abbiamo desistito e siamo giunti, nell’assolata mattina del 23 agosto 2014, alle pendici di questo ex paese, di cui ope legis è stata decretata la morte in seguito a una frana e alla speculazione edilizia che ne è conseguita.
Agli abitanti disposti a trasferirsi nell’orribile quartiere senza storia e senza vita creato in sostituzione, brutta periferia di nessuna città, sono stati promessi sgravi e addirittura concesse case mille volte più brutte e più funzionali di quelle abbandonate.
Ai ladri, ma dovrei dire ai tombaroli, che da ogni casa hanno prelevato l’incredibile (camini in pietra, inferriate, elementi considerati inamovibii) è stata accordata l’impunità.
Non ho visitato il borgo devastato.
Le difficoltà fisiche di accesso (101 scalini ripidi e scivolosi nella calura estiva) sono stati alibi di un handicap dell’anima. “Basta rovine, basta caschi di sicurezza sulla testa!”. È stato un imperativo categorico che mi ha trattenuto alla base della barriera, mentre i miei amici acquistavano la Craco card a dieci euro e si donavano alla visita guidata, commovente per tutti, ma straziante per chi, da aquilano, trova accesso quotidiano e gratuito a simili abbandoni.
Se hai gradito quel che hai letto, regalami un sorriso cliccando “mi piace” sulla mia pagina Facebook.
Nella pagina “I luoghi che ho visto” troverai tutti i luoghi che ho raccontato sul blog.