Da una notte all’altra, il libro postumo di Carlo Fruttero, edito da Mondadori, è un perfetto esempio di prodotto bibliografico che trovo irresistibile.
Il sottotitolo, passeggiando tra i libri in attesa dell’alba, fa parte del mio vissuto: quando tutti dormono mi piace vegliare rileggendo pagine a caso dei testi che ho amato. Bastano pochi giorni di vacanza perché la mia vita capovolga i ritmi che impone la società: con che goduria amo leggere nel silenzio della notte! Con che voluttà cerco il letto quando tutti lo lasciano! Scoprire di condividere questa piccola perversione con Carlo Fruttero mi fa inspiegabilmente piacere.
Anche se il titolo fosse stato diverso, però, questo volumetto sarebbe finito fra le mie mani: mi piace scoprire quali libri hanno amato i grandi autori, quale messaggio hanno tratto dai classici, quale scia hanno lasciato nella loro vita le letture di formazione che accomunano tutti gli italiani di cultura. Sapere che milioni di persone, che non conosco e mai conoscerò, hanno palpitato con me fra le pieghe di libri e hanno interiorizzato le storie che hanno segnato anche me mi fornisce un passaporto per la repubblica delle lettere.
Se Da una notte all’altra non fosse stato scritto da Fruttero e non avesse avuto una impronta metaletteraria, lo avrei comunque comprato, perché per i libri cartonati in formato ridotto, così eleganti e insieme così maneggevoli, ho una predilezione speciale.
L’impostazione del libro è geniale: Fruttero immagina di star riordinando la sua biblioteca con Fabio Fazio, che gli dà il destro per parlare brevemente dei libri mentre li ricolloca.
La lettura scorre gradevole fra affermazioni trancianti (di La guerra del Peloponneso scrive: “Chi non l’ha mai letto non può capire niente di ciò che legge ogni mattina sul suo giornale), aneddoti succulenti (di Alfieri ribadisce che si faceva legare alla sedia non tanto per studiare quanto per tenersi lontano dalle grazie di una dama perché il re in persona disapprovava la liason, di Hugo, figlio di un generale napoleonico, ricorda l’abitudine di scrivere in maniche di camicia davanti alla finestra spalancata in pieno inverno) e scelte sorprendenti (le Fiabe italiane di Calvino, selezionate per certe iridescenze dialettali che fanno di questo libro un gioiello linguistico degno della Crusca).
Per lumeggiare la personalità eclettica di Carlo Fruttero, sono preziose la prefazione e la postfazione di Da una notte all’altra.
Nella prima, stilata da Ernesto Ferrero, Fruttero viene ricordato per la sua eccentricità, per la sua fame di vita, che lo spinse, nonostante l’ateismo dichiarato, a farsi a piedi un pellegrinaggio a Roma durante il Giubileo del 1950: quaranta chilometri al giorno e notti trascorse nei letti delle parrocchie, non per fede, ma per fervore.
Chiarificatore della libertà intellettuale di Fruttero è il rapporto con Giulio Einaudi: “al raffinato snobismo del “padrone” (come veniva ironicamente chiamato dai suoi), alle sue morbide giacche inglesi, oppone un pittoresco abbigliamento casual, impreziosito da sandali francescani che aveva costruito lui stesso con un vecchio copertone e due pezzi di legno”.
Nel backstage (guai a chiamarlo postfazione!), la figlia Maria Carla Fruttero racconta con dolcezza e pietas gli ultimi giorni di un uomo fiaccato dalla vita e dai malanni, ma sempre vivido nell’animo e basaltico nell’intelligenza, a cui quest’ultimo progetto, da una notte all’altra, appunto, restituì verve ed entusiasmo.
Mi sembra quasi di vederli: lui, sdraiato sul letto, a dettare con voce calma e paziente, lei a scrivere al computer questo testamento spirituale, a dissimulare la tragedia quando improvvisamente si resettò il file con cinquanta schede di libri, a invogliare e a tentare il padre, tutte le volte in cui la stanchezza scalzava l’entusiasmo.
Sono piccoli doveri di figlia.
Sono grandi benemerenze per l’umanità.
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