Me lo aspettavo.
Il protagonista del libro, Bruno Bruni, sogna infatti di scrivere il Grande Romanzo del Secolo e, nell’ideare e scartare trame e stili, dà bordate mortali a tutti gli scrittori italiani che, negli anni, sono stati incensati più o meno con merito.
Del resto, chi mai dovrebbe scrivere il capolavoro mancante?
“Ad Alessandro Baricco la cosa molto probabilmente non interessa, lui è troppo internazionale. Tiziano Scarpa, invece, so che volendo può sembrare un paradosso, è troppo intelligente. Antonio Tabucchi è morto. Chi altri? Francesco Piccolo? No, lui è troppo divertente.E poi è anche molto preso dalle sceneggiature per Nanni Moretti e dalla tivù. Niccolò Ammaniti? E chi glielo fa fare di lavorare al Grande Romanzo Italiano, che tanto qualsiasi cosa scriva Gabriele Salvatores ci fa un film? Sebastiano Vassalli..uhm, troppo serio, a parte il fatto che ora che ci penso è morto anche lui. Stefano Benni lo escludo, troppo comico, Le donne sono da escludere pure loro a priori, perché se non c’è riuscita a suo tempo Elsa Morante con la Storia, peraltro andandoci molto vicina, non ce n’è per nessuna.”
Ha reagito con il suo solito aplomb e con argomentazioni anche condivisibili.
Io però ho un debole per Culicchia, che di tutti smaschera stilemi e trucchetti, mitomanie editoriali e povertà inventiva.
Di tutti, compreso se stesso.
Se Bruno Bruni ridicolizza chiunque, il più bersagliato è proprio lui, Giuseppe Culicchia, l’artista della ripetitività.
L’autore sa bene che quel suo essere ripetitivo, quell’infilare parole e immagini come slogan pubblicitari ogni tot pagine è satira alla società commerciale di oggi e insieme marketing personale.
Del resto, se lo stile formulare ha garantito ad Omero l’eternità, perchè non dovrebbe funzionare oggi, quando la scrittura perde sempre più terreno rispetto all’oralità dela televisione e quando l’epica torna necessaria per combattere le brutture del mondo?
Essere Nanni Moretti è una satira spietata al mondo delle comparsate e delle ospitate, al crescente campanilismo di ogni paesotto che si nobilita come borgo, all’editoria sempre più affetta da elefantiasi e a questa società dell’apparire che di tutto è causa e insieme conseguenza.
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