Incontro con Pino Roveredo

WP_20141214_002Soffusa come la luce di un abat-jour, la voce di Pino Roveredo illumina ma non irradia.

Invano cercheresti nel suo sguardo tracce delle antiche intemperanze: i suoi occhi sono sfingi, il suo volto non tradisce emozioni.

Una delusione per chi è venuto qui, alla libreria Mondadori di Maccarrone, a L’Aquila, alla ricerca di facili aneddoti sullo “scrittore dei pazzi”, su “quel pazzo dello scrittore”.

Una conferma gradita per chi sperava che la felicità espressiva degli scritti di Pino Roveredo si concretizzasse in un dialogo serrato e sincero, in cui ripercorrere la genesi compositiva e svelare i retroscena dell’ultima sua fatica, quel “Ballando con Cecilia” che, nella sua riduzione teatrale, ha conquistato i palcoscenici di mezza Italia.

Roveredo ammicca al pubblico, chiede applausi, esorta acquisti, flirta con le proprie idiosincrasie accertandosi della presenza in sala di un medico “perché non si sa mai, magari si riattiva l’epistassi che mi ha terrorizzato nel pomeriggio, chissà”.

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Da sinistra: Enza Turco, Stefano Carnicelli, Pino Roveredo, Cecilia Bielanski. Sullo sfondo la bellissima libreria Mondadori di Roberto Maccarrone

Scambia complimenti con il team di accoglienza: a Stefano Carnicelli, che lo presenta, vaticina un futuro di successo come scrittore capace di offuscarlo; ad Antonella Cocciante, voce recitante, attribuisce il merito di essere “una delle più grandi attrici viventi”, all’arpista Cecilia Bielanski, che ha fra l’altro lo stesso nome dell’anziana ospite del centro di salute mentale sulla cui brusca sincerità si incentra il libro “Ballando con Cecilia”, manifesta viva ammirazione.

Ha fatto sue, cioè, le politiche dell’abbraccio e dell’ascolto che, secondo Basaglia e secondo lui, sono la chiave di volta nell’approccio con i pazienti affetti da quella che definisce “una sana follia”.

In questo Roveredo è categorico: c’è in ognuno di noi una vena di pazzia. Perché il mondo sia migliore, bisogna coltivarla, non zittirla ed irreggimentarla negli schemi che la società considera normali. A riguardo fa un rapido sondaggio in sala: vuol sapere chi parla a se stesso. Alza la mano la quasi totalità dell’uditorio (non io, che non condivido in nulla il suo approccio alla questione anche se mi beo nell’ascoltarne le esperienze).Created with Nokia Smart Cam

Nell’Ottocento le porte del manicomio si aprivano anche a chi parlava da solo, anche alle ragazze madri che pretendessero di crescere da sole il “figlio della colpa”, anche a persone colpevoli di comportamenti oggi codificati e accettati.

Cecilia, la protagonista del suo romanzo, esiste davvero: ha 93 anni, ne ha trascorsi oltre sessanta in un centro di igiene mentale. Del mondo non sa nulla: non conosce il caffè solubile, ignora le conquiste tecnologiche, è estranea alle nuove mode, ma accetta tutto senza scomporsi.

Quando scopre che ormai è possibile trapiantare un nuovo cuore in un petto malato, si domanda: “E il nuovo cuore sarà pieno anche d’amore?”

Solo quando Roveredo le racconta che l’uomo è arrivato sulla luna, scuote la testa e gli dice: “Tu sei proprio pazzo, faccia di bertuccia (che è l’epiteto più gentile che usa nei confronti del prossimo)”.

Il vero manicomio è fuori, nelle strade intasate dal traffico, nelle collusioni Stato- Mafia, nell’intolleranza della gente. E dopo oltre mezzo secolo di reclusione forzata, dopo migliaia di ore trascorse davanti ad una finestra da aprire come si sfoglia un giornale per avere un affaccio sul mondo, Cecilia esce dal Padiglione I.

La portano a teatro, dove va in scena “Ballando con Cecilia”. Ignorando ogni protocollo, commenta ad alta voce, ride, strepita, contesta, applaude durante tutto lo spettacolo, suscitando l’indignazione del pubblico. Quella stessa gente che le ha indirizzato occhiate colpevolizzanti e parole astiose si scioglie però in un applauso quando scopre che la Cecilia che li ha irretiti in teatro esiste, ed è lei.

E allora il vero pazzo chi è? Chi cambia opinione come società comanda o chi è sempre coerente con se stesso, sempre, irriducibilmente, sincero?

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Pubblicato da Benedetta Colella

Sono Benedetta, quarantenne aquilana innamorata del mondo. Per contatti e collaborazioni, potete scrivermi a benedettacolella(at)gmail.com