Mai vista in vita mia stanza più cupa, fredda, scomoda di quella da cui scrivo questa accorata recensione.
Le peripezie iniziano a distanza: la locanda si trova in piazza, ma il check in va fatto in via Ronchetta, 13.
Seguendo il navigatore, così, ci inerpichiamo in una strettissima via di montagna, che sale, sale, sale fino al di solito confortevole messaggio di “Arrivo sulla sinistra”. Peccato che a sinistra ci sia il baratro, a destra un’erta fangosa e al telefono risponda il cognato del titolare, con cui fatichiamo a capirci.
Molto più facile a dirsi che a farsi.
La perizia di Marco limita i danni a qualche graffio sul paraurti: ci fossi stata io, sarei sicuramente precipitata a valle.
Neanche una parola di conforto da parte del titolare: che colpa ne ha lui se tutti i navigatori hanno le mappe sbagliate? Neanche lo sfiora il sospetto che in fase di prenotazione il cliente vada quanto meno avvertito che andrà incontro a problemi del genere.
E’ sempre aperto, giorno e notte, il portone d’accesso di La lanterna delle fate, tipica casa ligure fatta di scale alte e impervie,parzialmente senza corrimano e tutte scrostate per colpa della recente alluvione. Arrivata faticosamente al piano rialzato, scopro che mi aspettano ancora due rampe per raggiungere una uggiosa mansarda che prende luce solo dal tetto.
Luce? Non solo.
Il tavolino sotto il lucernaio, su cui poggio la borsa, si bagna al primo scroscio di pioggia.
E il bagno, tanto per restare in tema, si bagna al primo scroscio della doccia di Marco, perché le ante non scorrono bene.
E ancora, troppo basso il cuscino, troppo piccola la televisione, troppo scarsa l’illuminazione nella stanza, dove trionfano abatjour fantasma senza lampadina e senza prese da cui attingere energia.
Domani ce ne andremo il più presto possibile.
Tanto, abbiamo scoperto solo all’arrivo che neanche la colazione è compresa nelle 40 euro che il proprietario ha intascato cash.
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