Si mangia tanto.
Si mangia bene.
Si mangia innanzitutto con gli occhi, poi con la bocca e infine col cuore, nel ricordo inestinguibile di un’esperienza unica.
Mi sono chiesta quanto abbia influito nell’approvazione estatica del menu la suggestione televisiva: se Giorgione non fosse stato la star del Gambero Rosso Channel, il suo ristorante mi avrebbe soggiogato così tanto? Forse sì, per una serie di accorgimenti scaltri che rendono indimenticabile ogni piatto.
Di antipasti a buffet è pieno il mondo, ma Giorgione ha organizzato il suo come un’ascesa alla beatitudine.
Avvicinandoci al bancone, troppo alto per noi, percepiamo solo il bordo di dieci, venti, cento contenitori, alcuni in coccio, altri in legno, altri ancora in ceramica. Il contenuto non si vede. È immediato il deja vu all’infanzia, quando non si arrivava al tavolo e si doveva aspettare l’aiuto di un adulto per raggiungere la sedia e scoprire così che cosa avesse cucinato mamma. Si ricrea in qualche modo lo stesso clima di fiduciosa attesa.
Saliti due scalini, si arriva finalmente al livello del tavolo, sommerso letteralmente dai cibi. C’è un’apprezzatissima zona dedicata alle zuppe calde (farro, ceci, fagioli e cotiche, minestre varie), contigua ad un’ampia rappresentanza di verdure di ogni tipo, con insistita attenzione alle cipolline squisite e agli aglioni. In fondo al bancone stanno gli affettati, ottimi come impone la vicinanza a Norcia, e infine una selezione davvero significativa di formaggi con mieli e confetture varie.
In ogni tavolo, è stato sparecchiato un numero di piatti almeno doppio rispetto a quello dei commensali.
I due primi arrivano insieme.
A noi sono stati proposti una pasta con le cipolle e delle fettuccine con la coda. La mia iniziale delusione è immaginabile. Se non fossi stata a La via di mezzo, lo confesso, non avrei neppure assaggiato e invece, sfidata da Giorgione stesso, mi sono cautamente servita una mestolata di pasta e cipolle. Divina! Squisita!
Siccome i miei cari stavano apprezzando molto, per lasciar loro quantità maggiori, ho ripiegato sulle fettuccine col sugo di coda. Che buone, amici miei!
Rimanevano nel vassoio quelle quattro forchettate che nessuno osa servirsi per timore di privarne i commensali quando un solerte cameriere è venuto a sparecchiare. L’ho inseguito per riavere gli ultimi resti.
Giusto il tempo per scambiare quelle quattro chiacchiere che ci erano morte in gola di fronte alle sontuose pastasciutte e sono arrivati i vassoi con i secondi: agnello (buono, ma non eccezionale) e una sbalorditiva coscetta di pollo ripiena, circondata dalla pancetta più saporita che si possa sognare e rosolata in maniera perfetta. Ne avrei mangiate cento!
Anche le patate, offerte per contorno insieme all’insalata, erano insaporite con granelli di pepe che le rendevano meravigliose. Nell’entusiasmo, mi sono riproposta di acquistare immediatamente una busta di patate rosse di Colfiorito dagli ambulanti che avevano colonizzato tutta la strada da Norcia a Spoleto, poi, razionalmente ma insensibilmente, Marco mi ha fatto notare che il vero valore aggiunto è la mano felice dello chef, che non è in vendita.
Secondo voi, come erano i dolci? Avete indovinato: buonissimi. In ordine di preferenza, torta al cioccolato, morbidissima e saporosa, torta con le mele, la preferita delle mie nipoti, e torta con ricotta e limone, che non ho assaggiato.
Un corposo Sagrantino di Montefalco del 2008, qualunque cosa significhi, all’esorbitante prezzo di 28 euro a bottiglia (più dell’intero pasto, calmierato a 25 euro), ha rallegrato la tavolata. Semel in anno licet insanire.
CORTESIA: 9/10
QUALITA’ DEL CIBO: 10/10
GENEROSITA’ NELLE PORZIONI: 8/10
RAPPORTO QUALITA’- PREZZO: 9/ 10