Come formichine operose, i miei amici di Borghi d’Abruzzo hanno tracciato un solco fra la piazza San Francesco, sede della chiesa e dei principali musei, e la blasonata pasticceria.
Quando, invogliata dagli entusiasmi altrui, l’ho raggiunta anche io, sono rimasta di sale. Mi aspettavo, infatti, un’ampia sala, con tavolinetti e vetrine piene di ogni ben di Dio; mi sono trovata in un bugigattolo ben restaurato, forse un’antica cantina, con un bancone vecchio stampo e nessuna pasta con la crema a vista.
E ho scoperto che la felicità passa per un morso alla crema pasticcera e al pan di Spagna che lo contiene e per una nuvola di zucchero che ti cade addosso, ti improfuma e ti addolcisce.
Pettegolezzi vogliono che questo profluvio di zucchero a velo si debba a Gabriele D’Annunzio, devoto ale sise delle monache: fu lui a notare che il seno delle suore, mai esposto al calore del sole o alle carezze di un uomo, dovrebbe essere candido come zucchero, non brunito come pan di Spagna.
Tra l’altro, le buone Clarisse che per prime inventarono la squisita ricetta non intendevano certo ammiccare ai consumatori. La forma sarebbe dovuta essere un omaggio ai tre monti principali d’Abruzzo.
La fantasia popolare, però, si scatenò; e sicccome le brave suorine erano solite inserire rinforzi nel reggiseno per mimetizzare la procacità delle loro forme, i guardiesi, maliziosi, si divertirono a immaginarle dotate di tre tenere mammelle, morbide e gustose come il loro dolce. E, fra lazzi e battute, (non posso non riferire il compiacimento di un amico che ripeteva deliziato “a tre a tre non le ho mai assaggiate!”) ci hanno dimostrati che spesso la forma vale anche più della sostanza.
Se hai gradito quel che hai letto, regalami un sorriso cliccando “mi piace” sulla mia pagina Facebook