Incontro con Marco Vichi

WP_20150718_020Marco Vichi è a un passo da noi, nel primo cerchio di sedie, al fresco del gazebo: è inconfondibile con i suoi candidi capelli lunghi e il look sportivo di chi è a suo agio nel mondo e non ha nulla da ostentare.

Rispetto all’ultimo incontro a Lecco, quando una giuria di lettori, me compresa, lo insignì del premio Azzeccagarbugli, non è cambiato di molto: solo la serenità dello sguardo dimostra che qui, nella sua Versilia, si sente davvero a casa.

I gestori dello stabilimento “La conchiglia”di Lido di Camaiore, che ospita l’evento, hanno portato acqua fresca per tutti.

Non ci sono gerarchie, stasera; tra i lettori e l’autore non si interpone nessuna cattedra, nessun palcoscenico, nessuna pedana.

L’assenza di apparato nuoce all’acustica, ma facilita l’interazione: in breve il timore reverenziale del pubblico svapora e il dialogo si fa serrato, dialettico, a tratti polemico.WP_20150718_014

Percepiamo tutti che Marco Vichi è essenzialmente un lettore, uno di noi, che si è formato sui classici russi dell’Ottocento, poi su Dürrenmatt e infine su John Fante e Curzio Malaparte.

Se con Pessoa abbiamo scoperto che “il poeta è un fingitore e finge sì completamente che finge sia dolore il dolore che davvero sente”, con Marco Vichi apprendiamo che lo scrittore è un lettore e legge tanto attentamente che pensa sia lettura anche la storia che sta scrivendo. Essa preesiste in un mondo delle idee e lui ha solo il compito di dirozzarla e narrarla a chi non sa vederla.WP_20150718_018

Scrive, Marco Vichi, come un viandante che avanza nel bosco di notte, conquistando il sentiero metro dopo metro, non esente da scivoloni ed errori che spariscono poi col tasto “canc.” del computer.

Scrive di notte: alle dieci, dieci e mezzo di sera, quando la giornata è già sporca di emozioni, la scrittura è il suo ritratto di Dorian Gray e lo purifica, assorbendo e catarticamente esorcizzando pulsioni e passioni di un animo indocile.

Scrive da sempre: ha manoscritti negli armadi oltre che nei cassetti e pile di lettere di rifiuto da parte di case editrici miopi che non colsero subito l’estro sperimentale di uno dei più grandi autori italiani.

Il console, presentato oggi, era in stand by da trent’anni. Chissà quali suggestioni lo animarono: forse la lettura di Memorie di Adriano della Yourcenar, forse la sequenza di un film, forse uno dei classici latini.

“Niente male” si disse Vichi rileggendolo sei lustri dopo. “Ancora attuali le questioni posti, ficcante ai limiti della preveggenza la sensibile disamina dei turbamenti della prima senescenza, accurate le ricostruzioni storiche. Ma lo stile, lo stile…”

Giancarlo Gori legge l'incipit de "Il console" di Marco Vichi
Giancarlo Gori legge l’incipit de “Il console” di Marco Vichi

Lo stile era infatti quello retorico e gonfio dei giovani che hanno qualcosa da dimostrare. Suscitava ammirazione, ma il Marco Vichi di oggi cerca leggerezza, sogna empatia. Non c’era altra strada che riscriverlo da capo, sfrondando il periodare, ritmando le parole.

Il risultato, stando agli stralci divinamente interpretati da Giancarlo Gori, coprotagonista della serata, è davvero intenso. Il libro ora è nella mia borsetta. Lo leggerò ben presto e vi farò sapere.

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Pubblicato da Benedetta Colella

Sono Benedetta, quarantenne aquilana innamorata del mondo. Per contatti e collaborazioni, potete scrivermi a benedettacolella(at)gmail.com