Secondo le intenzione di committente ed esecutori, l’Eur avrebbe dovuto rinnovare l’idea della Romanità gloriosa; al contrario, questo museo ospita reperti assai poco monumentali di un periodo di guerre, carestie, relativa povertà.
Dimenticate l’archeologia romana, lo sfolgorio di ori e colori dei secoli passati!
Dove c’era il marmo, ora c’è il mosaico, allegoria perfetta di un mondo in frantumi.
Non è un museo che strappa oh di meraviglia, ma ben documenta, questo sì, la resilienza.
In questo aiutano molto gli ampi spazi concessi al museo: ogni teca ha rilevanza, giusta illuminazione, pannelli esemplificativi ben strutturati.
Non mancano gli audiovisivi, con interviste, ricostruzioni, sopralluoghi agli scavi.
Addirittura, per arrivare alla sala del mosaico, che da sola varrebbe il prezzo del biglietto, si percorrono più corridoi, pavesati di gigantografie, riproduzioni, foto aeree dell’opus sectile della domus di Porta Marina.
Chi volesse leggere la storia dei ritrovamenti avrebbe di che appassionarsi.
Io preferisco che la suggestione dei sensi non sia preventivamente indottrinata dallo studio, per cui ho percorso il tragitto stando ben attenta a preservare per me un effetto sorpresa.
Ed è davvero impattante posizionarsi ad un passo dalle rigide geometrie della sala, disperato tentativo di un antico mosaicista che ricercò un ordine assurdo in un mondo in disordine.
Non dimentico però che si tratta di un trapianto: la tecnologia del Museo Nazionale dell’Alto Medioevo permette a noi visitatori contemporanei di soffermarci ad osservare ogni particolare di una domus che nessuno dei frequentatori antichi vide mai così sgombra né così illuminata.
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