Ho atteso i primi freddi per parlarvi di Piane del fiume di Isola del Gran Sasso.
Non l’ho fatto coscientemente, almeno questo no, ma il costante differimento nello scrivere un post su uno dei luoghi più belli e sconosciuti del nostro Gran Sasso ha, temo, motivazioni inconsce poco nobili.
Ne sono gelosa.
Ne sono gelosa perché è un angolo di paradiso che in pochi conoscono e rappresenta per me il locus amoenus per antonomasia, perfetta intersezione di acque, boschi, sentieri, confortevoli rifugi.
Dopo le cascate del Ruzzo, che già di per sè meriterebbero una visita, la strada si biforca: se si segue un’ampia sterrata si giungerà in breve in un intrico di fronde che nasconde i raggi del sole.
La macchina a cinque metri non frena entusiasmi all’Indiana Jones quando, in due balzi, arriviamo proprio alla base di questo imperdibile regno delle acque.
Quando comincia a far freddo (e, indipendentemente dalla temperatura esterna, dopo un po’ si rabbrividisce sempre), si prosegue in macchina, costeggiando un rumoroso torrentello, fino al momento in cui il cielo ritorna visibile e la pendenza si spiana.
Si arriva così in un bosco meraviglioso: gli zampilli del neonato Ruzzo fungono da colonna sonora alla giornata e fanno compagnia ai camminatori; panche, fontane e barbecue offrono ogni confort agli epicurei.
Versiamo in fretta a terra la bottiglia di acqua minerale appena acquistata al supermercato: l’acqua pura delle fonti di Piane del fiume non teme confronti.
Un gruppo di gitanti ci offre pomodori freschi d’orto (“signò, li prenda: so’ meglio del prosciutto“): della loro grigliata resta nell’aria un gradevole profumo di brace e, come antiche deità soddisfatte di densi aromi, ci ripromettiamo di tornare ancora e ancora e ancora.
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