Secondo incontro con Roberto Vecchioni

Siamo spacciati.
Se anche Roberto Vecchioni, dopo aver calcato i palcoscenici di mezza Europa, dopo aver pubblicato libri di successo, dopo aver vissuto, insomma, una vita piena e degna, non riesce a scrostarsi di dosso le stimmate del Professore, non c’è speranza per nessuno di noi.
Ieri ero fra i seicento che gremivano l’Aula Magna della Guardia di Finanza di L’Aquila per ascoltare Roberto Vecchioni presentare il suo “La vita che si ama”.
Lo aspettavamo da un anno, da quando, cioè, i due Roberto, Vecchioni e Maccarrone, promisero come un sol uomo che avrebbero organizzato un nuovo incontro in un luogo dalle capacità ricettive degne della fama del personaggio.
E lui è tornato, un po’ più dimesso, un po’ più opaco, ma sempre capace di ipnotizzare la platea con le sue lezioni di vita e di poesia.
Fin dall’inizio il discorso si è incentrato sulla magia del greco antico, una lingua grimaldello capace di spiegare il senso della vita.
E’ lo stesso argomento che mi entusiasmò lo scorso anno, rivitalizzato con nuovi esempi e divagazioni sul tema.

Roberto Vecchioni dialoga con Stefano Carnicelli

Stavolta, però, la lectio magistralis di Roberto Vecchioni mi ha intristito. Mi è sembrato che il grande artista non riuscisse a smettere i panni, logorati dall’uso, del severo professore di greco, quegli stessi che la prima volta, in un liceo classico, a proposito di un libro sulla necessità della letteratura, mi erano parsi eleganti e appropriati.
Ho visto il grande uomo ripiegare su se stesso, cadere nell’autocelebrazione e nel nozionismo, difetti endemici del corpo docente, ricordare episodi piccoli di vita scolastica con la miopia tipica di tanti colleghi convinti di avere in tasca una risposta valida per qualunque domanda.
No, Vecchioni, non basta snocciolare con fare ispirato etimologie da corso ginnasiale per coordinarsi alla vita.
Si può sapere benissimo che il desiderio ci cade dalle stelle (de sideribus), per colmare una mancanza (de-sum).
Lo sanno anche i profani (pro fano: davanti al tempio).
L’affannosa ricerca dell’etimologia perduta può aiutarci a decrittare la vita, ma non a vivere tout court.

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Pubblicato da Benedetta Colella

Sono Benedetta, quarantenne aquilana innamorata del mondo. Per contatti e collaborazioni, potete scrivermi a benedettacolella(at)gmail.com