Seta di Alessandro Baricco (20/1001)

foto-setaAlessandro Baricco si ama o si odia.
Io lo amo e lo odio contemporaneamente.
Amo in lui il divulgatore facondo, l’animale da palcoscenico, il narratore empatico; odio il romanziere poco ispirato, lo stilista di parole senza sostanza, il facitore di best seller senza anima.
Seta non sfugge all’assioma.
Non so come, compare nella lista dei 1001 libri da leggere prima di morire. Probabilmente, sarà stato inserito con colpo di mano dai curatori italiani al posto di qualche opera non tradotta qui da noi.
La prosa di Seta è seta essa stessa: preziosa, delicata, levigata, accarezza impalpabilmente la superficie delle cose senza sfiorarne le profondità.
Gioca con le suggestioni dei romanzi d’avventura senza ricrearne i brividi, ambisce al fascino della letteratura odeporica senza aver introiettato l’esotismo insito nei veri viaggi.
I personaggi sembrano usciti dalle carte di Propp: sono emblematici, ma superficiali e agiscono senza apparenti rapporti di causa- effetto, in un fluttuare senza fine che a molti pare delizioso ed è per me solo lezioso.
Madame Blanche non si mosse di un millimetro. Teneva le labbra socchiuse, sembravano la preistoria di un sorriso“: è un’immagine fascinosa, sì, ma bidimensionale.
Il Giappone di Seta è tutto letterario, fatto di geishe bellissime che conquistano con uno sguardo, di uccelli meravigliosi regalati come pegni d’amore, di commerci ineffabili e di rientri quieti e senza storia.
Poiché la disperazione era un eccesso che non gli apparteneva, si chinò su quanto era rimasto della sua vita, e riiniziò a prendersene cura, con l’incrollabile tenacia di un giardiniere al lavoro, il mattino dopo il temporale”.
Quando, però, la storia preesiste, Baricco sa raccontarla con estro e magia inarrivabili: “A quei tempi il Giappone era in effetti dall’altra parte del mondo. Era un’isola fatta di isole, e per duecento anni era vissuta completamente separata dal resto dell’umanità, rifiutando qualsiasi contatto con il continente e vietando l’accesso a qualsiasi straniero. La costa cinese distava quasi duecento miglia, ma un decreto imperiale aveva provveduto a renderla ancora più lontana, proibendo in tutta l’isola la costruzione di barche con più di un albero. Secondo una logica a suo modo illuminata, la legge non vietava peraltro di espatriare, ma condannava a morte quelli che tentavano di tornare.[I pochi contrabbandieri]ci avevano guadagnato pochi soldi, molti guai e alcune leggende, buone da vendere nei porti, la sera“.

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Pubblicato da Benedetta Colella

Sono Benedetta, quarantenne aquilana innamorata del mondo. Per contatti e collaborazioni, potete scrivermi a benedettacolella(at)gmail.com