Le parole sono dosate con cura per offrire la massima resa col minimo sforzo linguistico e cesellano con precisione non solo i protagonisti, ma anche i comprimari dell’affascinante racconto.
La mia preferita è “la moglie di Curley“, sciocca pupattola senza nome, fanciulla disillusa, goffa seduttrice, simbolo insuperabile di femminilità umiliata.
Uomini e topi sviluppa un’allegoria chiara: affetti e interessi personali, prgetti e amicizie, vanno sacrificati in nome della collettività.
Che tu sia un vecchio cane rognoso, un povero nero, uno sciocco gigante, non troverai mai spazio nella comunità dei simili: se non puoi adeguarti, devi sparire.
E i sogni, quei sogni che danno coraggio e aiutano a sopravvivere, sono destinati a dileguarsi come neve al sole.
Grazie anche alla magnifica traduzione in italiano di Michele Mari, che non fa mai rimpiangere quella “storica”, con cui Cesare Pavese consegnò all’Italia, ho goduto di ogni singola pagina, di qualsiasi dialogo, dei tanti spunti di riflessione.
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