Ogni affermazione potrebbe bloccare la sorpresa in chi si accinge alla lettura.
Nel fluttuare ondivago della storia, menzogna e verità, ipotesi e tesi, sono talmente frammisti che al voltare di ogni pagina lo scenario sembra diverso, impercettibilmente eppur fatalmente diverso.
Salvo Sottile stesso, presentandolo, si è mantenuto volutamente sul vago, sottolineando soltanto come sia stato difficile per lui scrittore (ed, aggiungo, è ancora più difficile per il lettore) distaccarsi dalla storia, analizzarla freddamente, evitare l’identificazione.
È un libro troppo breve per l’abbondanza di storie che vi si fondono. Per questo, lo stile è funzionale alla trama, scarno quanto basta, rapido, scattante.
Anche i personaggi abbozzati a matita (la bella espressione è di Valeria Valeri, che ha moderato l’incontro) hanno un loro ruolo; se fosse una partita a scacchi, si scoprirebbe che le pedine ogni tanto si trasformano in cavalli.
Per questo, Cruel si legge velocemente: è di quei rari romanzi che monopolizzano la giornata di chi li vive e che subordinano ogni azione quotidiana al fluire vorticoso della trama, lasciando poi nel ricordo un retrogusto agrodolce, in cui si mescola l’ammirazione per la storia e il disappunto per il finale.
Il protagonista, Mauro Colesani, è una simpatica canaglia, giornalista di professione, su cui Salvo Sottile ha riversato la sua esperienza professionale.
Intorno a lui, il mondo famelico e frenetico di un comitato di redazione che si occupa esclusivamente di cronaca nera, che monetizza, in pratica, il dolore e l’orrore del male. È Schadenfreude, quello strano sentimento di consolazione di fronte alla sofferenza altrui, che personalmente mi è estraneo, ma che è ravvisabile in tanti fruitori compulsivi di cronaca nera? È catarsi? Forse la risposta sta proprio nella frase di Francis Quarles posta in epigrafe. “La rabbia può nutrirsi di te per un’ora, ma on giacere per una notte; la continuazione della rabbia è odio, la continuazione dell’odio diventa cattiveria”.