La location è senza dubbio invidiabile: Zunica 1880 dà infatti sull’ampia piazza- terrazza del borgo antico, subito dopo Porta Napoli. La costruzione elegante fa da contrafforte ad un panorama che pare estendersi all’infinito.
La moquette rossa, quasi un red carpet di benvenuto all’ospite, accomuna il piano terra, riservato al bar, e il primo, su cui insiste l’ampia sala ristorante. Raffaele Di Loreto, anima dei Borghi d’Abruzzo, ha scelto per noi un ricco menu degustazione a quattro portate, che, si legge in bacheca, è normalmente offerto a 40 euro. Data l’eleganza del contesto e la qualità dei cibi, non è uno sproposito.
L’antipasto, piuttosto frugale, soddisfa anche gli occhi: un cuore di carciofo che pare scolpito è circondato, infatti, da un’ottima fetta di prosciutto. Anche il pane, servito croccante e ancora tiepido, in due tipologie, contribuisce all’eccellenza dell’insieme.
Il vero punto di forza è stato il primo. Qui il cibo è innanzitutto raccontato: già nel presentarlo, i camerieri sciorinano suadenti didascalie che stimolano la consapevolezza. Come si mangiano, ad esempio, “ceppi al ragù tradizionale napoletano con tre carni (agnello, suino, manzo) cotto a bassa temperatura per ventiquattr’ore”?
Accostiamo la forchetta alle labbra con una devozione che una semplice “pasta al ragù” non avrebbe conquistato. Le ceppe sono stringhe di pasta all’uovo arrotolate una ad una, di lunghezza insolita, a metà fra la pasta corta e quella lunga, e quindi difficili da gestire. Anche per questo, è impossibile ingollare tutto con velocità e il rito amplifica il sapore. Nessuno di noi si è sottratto all’agognato bis.
Il ricco secondo ha avuto anch’esso un preludio poetico: un “maialino nero con funghi porcini dei monti della Laga” incute maggior soggezione di una semplice scaloppina ai funghi e ti prepara bene al sapore corposo e intenso che ti avvolgerà di lì a breve.
Come dolce, infine, ci è stata proposta la tradizionale pizza dolce teramana, bagnata al punto giusto e decisamente godibile
Dei vini non oso parlare, data la mia totale incompetenza, ma, a giudicare dalla frequenza con cui si sono susseguite le bottiglie sui tavoli e dall’allegria crescente nel gruppo, hanno evidentemente fatto il loro dovere.
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