Poco importa che l’autore sia Giampiero Mughini, non al vertice delle mie simpatie, o che la casa editrice sia Bompiani, che più di una volta mi ha spinto ad acquisti affrettati grazie all’abilità del suo titolista.
Per me un volume che parli di libri e che ne mostri in copertina collezioni intere è irrinunciabile. Sospendendo qualunque altra lettura in essere, poi, devo confrontarmici, per scoprire negli altri le mie manie.
A Giampiero Mughini, però, non interessa parlare di libri, ma raccontare se stesso e le sue idiosincrasie.
Il capitolo successivo, più godibile, è dedicato alla collezione di libri, riviste e volantini futuristi, raggranelati in anni di ricerche continue e venduti in un momento di sconforto e di momentanea difficoltà economica. Anche qui, la descrizione del singolo oggetto prevale sullo sguardo di insieme e, se non annoia una bibliomane come me, rischia comunque di essere ben poco interessante per i non specialisti.
Che c’entra poi l’omaggio al ginnasta Igor Cassina che occupa per intero l’ultimo capitolo? Solo perché l’autore, da giovane, tentò con enorme entusiasmo e piccolissimo successo l’agonismo? E i lettori che sono arrivati all’ultima pagina senza trovare quasi traccia dell’argomento che li ha spinti all’acquisto del libro?
In La stanza dei libri, zibaldone disordinato, mi sembra che Giampiero Mughini abbia raccolto qualche suo scritto già edito e condannato al macero, fidando nella popolarità del suo nome e nella gradevolezza dei manufatti Bompiani.
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