Le stanze sono animate, adesso, da simpatici personaggi di cartapesta, nelle pose tipiche del passato: la vecchina vicino al fuoco, l’uomo a capotavola ad aspettare il pranzo, la giovane, al piano di sopra, intenta ai lavori muliebri, il bambolotto, avvolto in fasce che sono vere e proprie camicie di forza, nella culla.
La casa di Jadeva è molto diversa dalle nostre: più compatta, più buia, più ospitale.
Per accedere alle stanze del piano di sopra, a mio avviso le più interessanti, bisogna salire una ripida scalinata dai gradini un po’ irregolari.
Il talamo nuziale ospita la biancheria intima dei nonni: mutandoni al ginocchio, magliette della salute, calze spesse con inserti in pizzo. Verranno indossati dopo un evento per l’epoca speciale: il bagno, da godere in una tinozza mobile più simile ad una grande bagnarola che ad una vasca contemporanea.
Per chi ama la moda dell’epoca è indispensabile una sosta nella sartoria, dove, vicino alla macchina da cucire, tra nastri, stoffe, cappelli e cassapanche, si riproduce davvero la vita delle donne abruzzesi del Novecento.
C’è poi un dettaglio, apparentemente incongruo, che mi ha intrigato: sul comodino della cameretta c’è un vecchio libro aperto da anni nella stessa pagina.
Funge da segnalibro una foglia essiccata da tempo.
Io ho una debolezza: quando vedo un libro devo assolutamente conoscerne il titolo e questo mi spinge ad acrobazie imbarazzanti sui mezzi pubblici o sulle spiagge per arrivare a saziare la mia spasmodica curiosità senza violare l’altrui privacy.
Il libro sul comodino della casa di Jadeva era lì, invogliante, indifeso. Mi sono avvicinata avidamente e ho trovato una improbabile edizione Loeb delle vite di Plutarco in traduzione inglese.
Escludo che la buona Jadeva si desse a queste letture di nicchia: più probabilmente in questa casa ricca di utensili e di calore umano non c’era nessun libro a confortare lo spirito.
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