A Calcata, borgo tufaceo spopolato dal tempo e ripopolato dall’arte, ho trascorso il mio Capodanno 2016.
Non poteva esserci viatico migliore per l’anno nuovo.
Le aspettative erano alte, ma quando, al termine di una strada boscosa in maniera stregata, ho visto Calcata stagliarsi all’orizzonte, imprendibile, su uno spuntone perpendicolare alla valle, ho capito che la meraviglia sarebbe stata il leitmotiv della giornata.
Le case sono come modellate all’interno della cima: non c’è soluzione di continuità né cromatica néd strutturale fra le rocce e le abitazioni, come, sulla spiaggia, certi complessi castelli di sabbia quando iniziano a franare. I rami ischeletriti della foresta che circonda Calcata senza lambirla contribuiscono a creare un clima di irrealtà fiabesca.
Più difficile è sbarazzarsi della macchina per affrontare, a piedi, la dolce ascesa a quella terra di tufo.
Appena arrivati, un cartello ci ammoniva: “Se 90 euro alla provincia non vuoi regalare, vai al parcheggio comunale”.
Peccato che detto parcheggio fosse saturo di macchine. Abbiamo proseguito a oltranza, fino ad una viuzza segnalata come priva di uscita, ma in realtà collegata a Calcata vecchia da una stradona in tufo, assolutamente impercorribile dalla macchina, ma affascinante da calcare con i piedi.
Ripida, ripidissima, quasi verticale la discesa.
Qual meraviglia ritrovarsi, al termine della strada, proprio nel punto d’ingresso al paese, quello vigilato solo dal cartello di monito a cui evidentemente solo noi avevamo dato peso.
Non c’era tempo per recriminare, comunque. Calcata vecchia era a due passi da noi.
Un ulivo abbellito con tanti palloncini rossi ci ha ricordato che eravamo lì non solo ad ammirare il paese di tufo, ma anche gli artisti che lo hanno scelto come patria di elezione.
Conosciamo subito Marijcke van der Maden, magica olandesina che trent’anni fa ha lasciato la sua patria per Calcata e da allora lavora ad un presepe impastato con trucioli di legno in cui i fedeli hanno le fattezze e i vezzi degli abitanti del luogo. Il suo studio, un antico granaio, è organizzato con velami, tavolinetti, statue in esposizione ed è arricchito da un’incredibile libreria stipata nella parte alta della parete.
Ovunque, a Calcata, ci sono angoletti scavati nel tufo, nel massimo disordine urbanistico, come formicai che si espandono ad arte. Nella stessa piccola piazzetta, ci sono sette, otto porte diverse, ognuna ad un livello diverso dalla strada, ognuna prodromica ad una minuscola casetta.
C’è un rapporto fra il vuoto e il pieno degli spazi assolutamente spettacolare: si entra al paese attraverso una porta d’accesso ripida, con la pavimentazione scivolosa e curva. Appena dentro Calcata, una piazza piuttosto ampia, zeppa di opere d’arte e di espositori, si apre su mille viottoli brevi e ondivaghi che culminano su affascinanti vedute sullo strapiombo della valle del Treja.
Gli abitanti fanno a gara a mostrarci i loro tesori: qui una cantina scavata per tre piani nel tufo, lì una minuscola sala da the, lì ancora un forno di pochi metri quadri che sforna pizze al taglio incredibilmente buone, ovunque grossi pupazzi in cartapesta che mimano i mestieri di un passato che, a Calcata, non è mai passato di moda.
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