Già, ma dall’alto dove?
Non c’è una sola collina nei dintorni.
Mentre lo sguardo spazia alla vana ricerca di un punto di osservazione aerea palesemente inesistente, ci ritroviamo senza accorgercene davanti alle mura della città.
Da dove è sbucata?
Eravamo presi dalla discussione, è vero, ma giurerei che Palmanova ci si sia materializzata davanti come un fantasma.
L’effetto sorpresa è voluto e riuscito.
Appena oltre il perimetro esterno delle doppie mura, infatti, si innalzano millimetrici contrafforti ricoperti di terreno che mimano un falsopiano e celano l’esistenza di una straordinaria città murata.
Non è certo una storia tipica italiana: da noi le città generalmente nacquero come assembramenti spontanei e crebbero secondo le esigenze demografiche dentro e fuori le mura presto o tardi erette per difesa.
Per questo la cerebrale Palmanova, urbanisticamente perfetta, si caricò di un simbolismo esoterico che ancora oggi conferisce fascino alla città.
Percorrerne le vie suscita straniamento.
Da ciascuna delle tre porte un vialone sfocia nella gigantesca piazza centrale, entro cui si iscrive un canalone esagonale di evidente valore catartico.
Circuiti a ragnatela legano fra loro le sei arterie principali.
Perdere l’orientamento è facilissimo.
Al centro della piazza ho provato una sensazione molto simile a quella fanciullesca confusione che ci si procurava girando velocemente su se stessi fino a perdere coscienza di sè e del mondo in un unico, allegro vorticare.
Servono a non perdere l’orientamento le enormi strumentazioni edili esposte ai margini della piazza, con esaurienti e assai noiose spiegazioni sulle tecniche di utilizzazione (ho atteso almeno un’ora che Marco, appassionato di queste cose, se le studiasse una per una).
Ricchissimo, il Duomo secentesco, in bello stile veneziano, cela al suo interno opere di alta oreficeria, tra cui spicca una magnifica Madonna (XX sec.) in trono del XVIII secolo che non mi sarei mai stancata di contemplare.
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