Dall’inaugurazione, un anno fa, questo ristorante, che già nel nome evoca i buoni sapori semplici di una volta, attira a Poggio Picenze un gran numero di avventori.
Dopo aver tentato per due volte invano di trovar posto nelle due salette di cui si compone il locale, ambitissime soprattutto nel fine settimana, ieri sera sono stata sorpresa dal tono sussiegoso con cui il cameriere mi ha informato che, sì, c’era ancora qualche posto per la cena.
Non sono una modaiola; al contrario, amo scoprire piccole oasi di pace fuori dai circuiti del turismo e della movida. Partivo quindi con un certo pregiudizio contro un locale che sembrava accontentare tutti i gusti.
Pur senza eccedere in superlativi, anch’io ho ceduto al fascino discreto di Paneolio, un ristorante che sa coniugare la tradizione con l’innovazione fin nelle stoviglie: i piatti dalle forme strane, i bicchieri colorati, il menu anticato, l’arredamento dolcemente ibrido mi hanno infuso un po’ di allegria.
Non abbiamo rinunciato al lodatissimo antipasto, caratterizzato soprattutto da formaggi freschi e appetitosi.
La ricottina iniziale, impreziosita da una squisita composta di arance, è stata un buon viatico all’intera
cena.
Discreti i salumi, spettacolare una provola affumicata che non ho avuto cuore di innaffiare nel miele e nella composta forniti per insaporire i latticini (e abbondantemente usati per mitigare il gusto deciso del pecorino al pepe).
Deludenti, pur nell’allegro cartoccio che li racchiudeva, i frittini di pane, al contrario di quelli, buonissimi, alle melanzane, su cui ho fatto la parte del leone, grazie al fatto che le bruschette alla coratella sono finite tutte nel piatto di mio marito (nel mio, però, ho ospitato una bruschettina al lardo piuttosto gradevole).
A completare l’antipasto, ci son stati proposti uno squisito fagottino al cavolfiore e una polpettina di radicchio e mollica insaporita in salsa al peperone, che ho trovato parecchio sfiziosa.
Quanto ai primi, Marco è stato attratto da una zuppa particolare, che vantava un abbinamento insolito fra ceci e baccalà. Un tocco di zafferano ha armonizzato il sapore pieno del piatto. Non è mancata una bruschetta a latere, da cui ricavare i crostini, che stanno benissimo con ogni minestra.
I miei spaghetti erano, però, ancora più buoni: a parte la cottura perfetta e l’altissima qualità della pasta, il tocco di classe stava nel condimento.
Sulla base del piatto, riposava la burrata, resa filamentosa al contatto con gli spaghetti, invasi a loro volta da una colata di crema di broccoli. A guarnire il tutto e vivacizzare la delicatezza dell’insieme, una generosa porzione di guanciale.
Ormai sazia, ho consumato stancamente un contorno di cavoli e patate non particolarmente significativo e, con un guizzo di sorpresa, un tortino al cioccolato bollente fronteggiato da una pallina di gelato alla vaniglia. I poli opposti si attraggono anche in cucina.
Del tutto ininfluente, in questo tripudio di sapori, la presenza di mezzo frutto della passione, che serve solo a caricare di esotismo il nome di un dolce molto buono già nella sua forma tradizionale.
L’intera cena ci è costata 45 euro: non lo sproposito che temevamo, ma comunque una bella cifretta. Sono soldi ben spesi, tuttavia. A Paneolio torneremo ancora.
Se cerchi ispirazione, ti invito a visitare anche la pagina Ristoranti e pizzerie