L’insegna anni Ottanta, la disposizione dei tavoli, l’arredamento rustico smentiscono già ad uno sguardo sommario la modernità millantata nel nome.
Anche il cibo, però, è cucinato secondo le ricette avite: una vera fortuna, questa, per l’avventore non modaiolo.
Il locale è di fianco alla chiesa, sulla piazza principale, parecchio in salita; quando abbiamo prenotato, la proprietaria ci ha minacciato scherzosamente di non aspettarci neppure un minuto più dei trenta preventivati, perché non c’erano altri clienti ad impegnarla.
Quando siamo arrivati, però, altri tavoli erano occupati e gli astanti, tutti paesani, contribuivano a creare un clima sereno.
La cameriera/cuoca/cassiera/factotum di La Nuova Taverna è sbalorditiva: riesce ad essere rapidissima e molto cordiale nello stesso tempo.
Ci elenca il menu, semplice e gustoso: fettuccine o chitarra o gnocchi conditi con funghi o tartufo o ragù o pomodoro.
Sul tartufo grattugiato sui funghi siamo subito d’accordo.
Sul formato della pasta no: Marco si godrà le fettuccine (molto buone) ed io la chitarra (molto molto abbondante perché alla cuoca è scappata un po’ la mano).
Un solo antipasto di montagna, il mio, ha nutrito anche il consorte: salumi, prosciutto, una lonza squisita e due pezzetti di pecorino ci hanno ben predisposto al proseguo.
Carne, a La nuova taverna, significa arrosticini, cotti perfettamente e succulenti all’odorato, alla vista e soprattutto al gusto.
Pomodori e patatine di contorno sono più ordinari e il dolce, per me che non amo la pannacotta alla liquirizia propostami, non è artigianale e quindi sacrificabile.
Con quel prezzo (35 euro in due) e quel sorriso, però, non è dato lamentarsi.
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