Il Commissario Maigret, alla sua settima avventura, si muove a suo agio in questo romanzo di atmosfere, rarefatto e nebbioso anche nella trama.
La sua paciosità è ben lungi dall’essere cristallizzata: al contrario, rischia più volte di scivolare sulla china della seduzione e non si esime da qualche scazzottata in pagine concitate, piene di azione e di adrenalina.
Come sempre quando leggo le gesta di Maigret, mi sento spiazzata dai ragionamenti zigzaganti dell’arguto commissario e non provo nemmeno a sostituirmi a lui nell’anticipare la soluzione di una trama stavolta ancora più improbabile del solito. Semplicemente mi lascio prendere dalla storia e come un qualunque ispettore (e qui ne sono coinvolti davvero tanti) ascolto domande in apparenza peregrine, grazie alle quali, nella mente arguta di Maigret e solo nella sua, si dipana la ricostruzione dell’accaduto.
Potrei indicare decine di opere di Georges Simenon che mi hanno appagato maggiormente; rispetto a chi ha stilato la lista dei 1001 libri da leggere prima di morire, così, mi trovo ancora una volta in disaccordo. Se Simenon non poteva mancare nel novero dei grandi autori, era ai suoi romanzi di ambientazione che mi sarei rivolta: da Betty a Lettera al mio giudice, da La finestra di fronte a La scala di ferro quasi tutti i libri senza Maigret mi piacciono più de Il crocevia delle Tre Vedove, che necessariamente ammicca ad un lettore a caccia di adrenalina a discapito forse di quella sottile ricostruzione psicologica che è la cifra distintiva di Georges Simenon.
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