Il parco archeologico di Selinunte e Cave di Cusa (TP)

Selinunte è l’ultima città vivente della Grecia antica
Non c’è nulla di morto nelle sue rovine.
Nelle altre eccellenze archeologiche d’Italia, Paestum, Agrigento, Pompei, i fori romani, è facile sentirsi viaggiatori nel tempo.
Qui invece è proprio il visitatore a scoprirsi incomprensibilmente greco.
Prima di perdersi in tanta malia, ha il tempo, però, di apprezzare la grande cura con cui i gestori hanno saputo preservare quest’incanto.


Quando Maupassant definì Selinunte “un immenso accumulo di colonne crollate, ora allineate ed affiancate al suolo come soldati morti, ora precipitate in maniera caotica”, i due templi oggi ricostruiti erano ancora a terra, tutti frammentati.
Il fatto che essi soli si ergano su un pavimento di rovine lascia intuire la grandezza del sito, preservandone contemporaneamente la genuinità.
Il parcheggio e le brutture della modernità sono celati alla vista.
A perdita d’occhio si ammirano solo pietre e verde, templi e onde.
Guardate: prati infiniti di prezzemolo selvatico (selinon in greco), mare in bufera all’orizzonte, colonne a terra come appena dopo la rovina, l’Acropoli in lontananza e con essa altri templi, altri siti, altri profumi che da secoli impregano intensamente quell’area, quell’aria.
Sentiamo il vento accarezzarci il volto mentre sfrecciamo sul nostro cocchio…e ci vuole proprio uno sforzo di razionalità per ammettere che ad accompagnarci nel parco archeologico più esteso d’Europa è una modernissima macchina elettrica, che non inquina e non fa rumore.
L’auriga ci parla di Selinunte senza saccenza, con profondo amore per la propria terra.


Gira attorno al maestoso tempio di Giove e ci mostra, a terra, un enorme capitello, lasciato lì perché, fatte le dovute proiezioni, si possa arguire l’imponenza dell’enorme struttura.
Poi si ferma di nuovo, ad ammirare, fra i prati, le foglie di acanto, così belle che i greci vollero riprodurle anche nei loro capitelli, o l’assenzio, con la sua funzione lisergica.


Non sarebbe stato suo dovere, ma ci ha accompagnato anche nel perimetro di un’antica abitazione, che era dotata di una particolare vasca ante litteram. E se finora il gusto è stato il grande escluso in questa celebrazione dei sensi nell’antica Selinunte, indirizzandoci verso il ristorante di pesce più caratteristico della zona, il nostro cocchiero ha fatto in modo che lo splendido pomeriggio si trasformasse in un’ottima sera.

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Pubblicato da Benedetta Colella

Sono Benedetta, quarantenne aquilana innamorata del mondo. Per contatti e collaborazioni, potete scrivermi a benedettacolella(at)gmail.com