Da quando ho scoperto gli audiolibri, il tempo trascorso alla guida non mi sembra più perso alla vita, eppure più di una volta ho sentito la necessità di spegnere l’autoradio per scrollarmi di dosso l’insopportabile vittimismo di Rachel, la protagonista.
Sentirla parlare significa rapportarsi con tutte le trappole mentali che ledono l’autostima di un essere umano. Le continue dichiarazioni di malessere e inadeguatezza sono così stucchevolmente esibite da parere quasi che l’autrice stia facendo il verso alla Psicologia NeuroLinguistica, che si basa sull’esatto contrario.
Tutto il romanzo è poi pervaso da un fastidioso determinismo fatto di meriti e perdoni reclamati, negati, differiti, esasperati dalla sconcertante povertà lessicale del romanzo, che ripete in continuazione gli stessi abusati stereotipi.
Non accetterei di bere un caffè con nessuna delle tre, così come non nutro empatia per nessuno dei personaggi maschili, tutti Narcisi dal pugno facile; per un lungo momento in ognuno di loro ho visto il bugiardo assassino che la polizia sta cercando.
In questo continuo slittamento dei piani d’analisi sta la forza di La ragazza del treno, romanzo che, probabilmente, se lo avessi affrontato in lettura cursoria, mi sarebbe piaciuto di più.
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