Scopri che si respira lì un clima particolare già nella telefonata di prenotazione.
Alla richiesta di un tavolo segue un attimo di silenzio, poi la voce squillante di Viola, l’ineffabile proprietaria, torna a riempire l’etere: “Vabbè, chica, ti metto in camera mia”.
Al momento non sai di aver superato un esame auditivo: Viola infatti accetta nel locale solo le persone che risultano idonee ad un suo personale test di simpatia. Può permetterselo: il locale è minuscolo e le richieste sono tantissime.
Una seconda prova è di carattere fisico: per salire al ristorante devi
inerpicarti per una scalinata ripidissima. La delusione nel conquistare la sala e trovarla gremita di avventori è immensa; spiazzante, invece, il comando della volitiva anfitriona: “Riscendete giù e entrate nel portone successivo. Mia figlia vi indicherà la strada”.
Seguendo una ragazzina di undici/dodici anni, così, ci ritroviamo a salire le scale, più comode ma più numerose, di un antico palazzo di Castel di Tora, a varcare la porta di una abitazione privata e a trovarci in una stanza minuscola, allestita con tre tavolini a due posti.
Benvenuti in “camera sua”. Qui si fa a suo modo.
Se ti lasci andare e vai incontro al destino, l’esperienza potrà essere piacevolissima, ma guai ad opporti in qualcosa.
Innanzitutto, scordati il pranzetto romantico che avevi ipotizzato: da “Dea” si fa gruppo. Gli spazi ristretti e l’atteggiamento confidenziale della proprietaria, che ti chiama per nome e ti interpella in continuazione, rompono il muro di silenzio fra i tavoli e ti trovi a conversare tutto il tempo con gli sconosciuti intorno.
Dimentica poi diete, salutismi, ossessioni alimentari: qui si mangia. Punto.
Nemmeno il tempo di sederci e planano sul tavolo gli strigliozzi ai funghi. Pasta fatta in casa, naturalmente, e salsa fresca. Il menu esposto in trattoria contemplava tre primi, tre secondi, tre contorni, ad una tariffa fissa di 20 euro.
Pensavamo che fossero scelte opzionali. Era una maratona cumulativa.
In una sorta di catena di montaggio del gusto, Viola ammassa, fa un giro trionfale per la stanza con il risultato della sua fatica ancora infarinato, lessa, impiatta, condisce, porta in tavola.
E tu lodi. Lodi i ravioli, con quel sugo fresco fresco che rende il ripieno ancora più buono. Lodi gli gnocchi con il sugo di pecora, anche se, fra te e te, avresti preferito la fresca genuinità del condimento precedente, lodi addirittura il piatto di polenta a grana grossa che ti porta a sorpresa, anche se pensi che questo quarto primo potrebbe esserti fatale.
Lodi l’abbacchio, lodi il pollo, lodi le patate, lodi i fagioli. Ti sottrai alla coratella dichiarando una tua idiosincrasia e ti schermisci alle cento proposte sostitutive perché lo stomaco ha raggiunto ormai la capienza massima e gradisce solo la squisita cicoria dell’orto, colta or ora ma tenera e gustosa come se avesse superato cento gelate d’inverno.
Lodi i dolci, infornati di prima mattina perché siano ben fragranti per l’ospite.
Poi stramazzi e ti arrendi. L’impavida Viola non demorde e ti confeziona là per là un pacchetto da riportare a casa ed assaporare con gioia a digestione avvenuta.
Chi ha avuto la fortuna di avere nonne paesane, che ti comunicavano il loro amore a furia di scappellotti e pasta ammassata, non potrà non ricordare quegli interminabili pranzi domenicali in famiglia, temuti allora e oggi amaramente rimpianti.
La trattoria Dea è unica non tanto per il cibo casalingo, buono senza essere eccezionale, quanto perché sa donare il calore della famiglia anche a chi non ce l’ha.
AMBIENTE: 6/10
CORTESIA: 8/10
QUALITA’ DEL CIBO: 7/10
GENEROSITA’ NELLE PORZIONI: 10/10
RAPPORTO QUALITA’- PREZZO: 10/ 10