Quando sul sussidiario scoprivo l’essenza delle Marche, l’atlante fisico aveva una chiazza marroncina dove oggi trionfa il blu.
Solo negli anni Ottanta, infatti, si è deciso di costruire una diga che ostruisse al fiume Musone il suo cammino verso il mare, creando così un grande bacino idrico in provincia di Macerata.
La forma è insolita: senza foto dal satellite non potremmo mai abbracciare con lo sguardo i quattro tronconi di forma e dimensione diversa in cui il lago di Cingoli si dirama, ora ampio e tranquillo, ora sottile e limaccioso. Nei fatti, è sempre una sorpresa: sparisce quando ci aspettiamo di vederlo, ricompare all’improvviso dove ormai non lo aspetteremmo più.
Soprattutto all’imbrunire, quando la fittissima vegetazione dei colli che lo circondano si specchia tutta nel lago e le prime luci cominciano a riverberare in quel blu che man mano scurisce fino a confondersi nella notte, è incantevole guardarne le sponde e lodare l’ingegno umano quando sfida e vince la natura.
Due record mi rendono caro questo lembo di terra marchigiana: i lavori sono stati ultimati nei tempi prestabiliti e senza nessun aggravio di spesa. Per i solidi ponti, belli da vedere oltre che funzionali, non è andata esattamente così: è un dato di fatto, però, che una terra destinata dalla natura all’emigrazione e all’abbandono, grazie al lago di Cingoli, stia tornando a vivere di agricoltura e di turismo.
Noi non abbiamo trovato intasamenti né abbandono: sulle sponde e nei chioschi che costeggiano il lago c’era, a fine agosto, un numero congruo di turisti, quasi tutti giovani, qualche sparuto pedalò, due squadre di pallanuoto pronte a sfidarsi.
Il vecchio capannone della diga è stato invece destinato a miglior uso e ospita, da poco, un entusiasmante museo del sidecar, unico al mondo, che presto attrarrà sulle sponde del Lago di Cingoli tutti gli amanti di cinema e di motori.
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