Lo zio che ci ha invitato a pranzo si vanta di aver banchettato qui con oltre trecento persone nel corso degli anni.
Eh, già! L’osteria delle Piane entusiasma tutti.
Il cugino si è raccomandato da oltre un mese: “Prenota in tempo, zio, altrimenti rischiamo di non trovar posto”. E zio, sicuro di sé: “Un posto per me si riserva sempre”.
Ma sì! L’osteria delle Piane rende tutti contenti.
Tranne me.
Per quel locale nutro un’antipatia istintiva e formidabile.
Probabilmente è una questione di spazi: nell’unica sala sono assiepati cinque tavoli, sempre gremiti, e il brusio che si innalza è insopportabile. Proprio ieri un avventore ha ammutolito con un roboante: “Tutti zitti, per favore!” la sala intera perché il figlio cinquenne potesse declamare una lunga e balbettata poesia ai nonni che festeggiavano l’anniversario di matrimonio.
Facciamo però la tara dal caos del locale.
Il cibo è discreto, lo ammetto (tutti gli altri cinguetterebbero che è ottimo, a dire il vero, ma a me nulla è sembrato superlativo se non, forse, il risotto).
Le porzioni però andrebbero ritoccate al rialzo, o almeno servite singolarmente.
Nei grandi vassoi da dividere per quattro c’è meno di quel che servirebbe: ciò permette, come sostiene compiaciuto zio, di assaporare anche il secondo con lo stesso entusiasmo con cui si gustano gli antipasti, ma, per me, star seduti tre ore e mezzo a tavola per alzarsi, poi, con il pensiero alla cena è un po’ snervante.
Solo l’antipasto è stato impiattato singolarmente, con indubbio effetto estetico: il filo d’olio che legava le tre collinette di pesci e ratatouille era un omaggio all’economia teatina, che sul vino e sull’olivo basa la propria prosperità. Con tre rapide cucchiaiate, però, i tre fortini sono stati irreversibilmente espugnati.
Analoga sorte è stata riservata al pomodorino su base di salmone. L’alicetta, invece, non mi è pervenuta: mio marito, sapendo che non ne vado pazza, si è servito la sua e la mia porzione.
Poi è arrivato il riso, che, ai frutti di mare, è uno dei miei piatti preferiti e che non ha smentito la propria squisitezza neanche qui. I paccheri al sugo di scampi non sono stati ugualmente entusiasmanti: il sugo, troppo liquido per i miei gusti, non intrideva la pasta, tra l’altro di un formato difficilmente abbinabile. È piaciuta tantissimo, però, al cugino che se ne è servito per primo, quindi a me è giunto in dosi omeopatiche.
Il vero dolore l’ho provato quando è stata servita la frittura e il vassoio è arrivato a me ormai spogliato di anellini e calamaretti. Mi sono consolata con un’ampia porzione di pesce di paranza, quello, cioè, che resta impigliato nelle reti e viene infarinato e cotto tutto intero. È un po’ antipatico decapitarli e deliscarli ad uno ad uno ma il sapore dà soddisfazione.
La torta era nostra: un capolavoro di noci, cioccolata e scorze di arancia fatto da zia Rita, che ha umiliato il buon panettone di pasticceria acquistato dallo zio per l’occasione e ha messo finalmente tutti d’accordo. Me compresa.
AMBIENTE: 6/10
CORTESIA: 7/10
QUALITA’ DEL CIBO: 8/10
GENEROSITA’ NELLE PORZIONI: 4/10
RAPPORTO QUALITA’- PREZZO n.c.