Da un giorno all’altro il mercurio dei termometri è precipitato verso il basso e una festa in piazza, gradita e desiderata fino al giorno prima e dal giorno dopo, si è trasformata in una sfida contro il freddo.
L’abbiamo vinta in molti: non sospettavo che questo showman avesse tanti fan coraggiosi che facessero eco ai suoi tormentoni (“Papi, ci sei? Ce la fai? Sei connesso?”) e applaudissero entusiasti nonostante la pelle d’oca sulle braccia nude.
Tanto calore ha riscaldato anche fisicamente Pino Campagna, che si era presentato imbacuccato come prima di una gara sciistica e che man mano ha deposto l’iniziale cappello di lana per indossarne altri, più insoliti, di repertorio.
Io sono di un’ignoranza abissale per tutto ciò che è legato alla televisione; di Pino Campagna ignoravo finanche il nome, quindi l’intero suo spettacolo è stato per me una sorpresa.
Una piacevole sorpresa.
Ha una comicità discreta, un po’ retrò, basata spesso sullo straniamento.
Dei giovani d’oggi finge di ignorare il gergo e i ritmi di parola, equivocando volutamente i tanti acronimi di cui si nutre il lessico giovanile, reinterpretati secondo il dialetto pugliese che, a pronunce simili, fa corrispondere significati totalmente diversi.
Il ritorno alle radici, il richiamo ai valori tradizionali e all’educazione rigida del passato hanno il duplice scopo di deridere tanto l’ottusa severità di ieri quanto la maleducata acquiescenza di oggi.
È più ridicola la fanciulla che parla come se stesse leggendo un sms o il padre che sistematicamente fraintende ogni cosa? E così, con il sorriso, Pino Campagna ci ammonisce a non chiudere la porta al futuro e, contemporaneamente, a non dimenticare il passato.
Del resto, lui stesso è un gentiluomo: ha iniziato lo spettacolo con la massima puntualità, si è reso disponibile ad una lunga via crucis di foto con i suoi tanti ammiratori e, durante tutto lo spettacolo, ha calibrato ogni esempio sulla situazione abruzzese e aquilana, dimostrandoci che non ci stava ammannendo uno spettacolo standard, ma qualcosa tagliata su misura al contesto geografico e sociale del paese che lo ospitava, Poggio Picenze.
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