Therese Raquin di Emile Zola (26/1001)

Therese Raquin è un romanzo claustrofobico.
Il capolavoro di Emile Zola ci presenta, infatti, un’umanità stolida e sordida, incapace di uscire da se stessa e dalle proprie invereconde pulsioni, buia e chiusa come la casa umida e scura che ne è referente oggettivo.
Zola, insomma, toglie luce alle stanze e agli animi.
Non c’è poi molta differenza fra la vecchia zia paralizzata,” quell’intelligenza murata viva, sepolta in fondo ad un corpo morto“, e la giovane Therese Raquin, che, sotto un’apparenza placida e remissiva, cova fremiti belluini di libidine e libertà.
Il sangue africano che le intorpida le vene è concessione a un involontario razzismo di Zola, che vuol quasi derubricare come esotismo l’incoercibile natura femminile proprio mentre, mirabilmente, la descrive.
Therese Raquin è una storia di odi ed egoismi che, per meglio agire, si camuffano da amore.
Tra il vigoroso Laurent e l’umbratile Therese c’è lussuria, c’è febbre, c’è reciproca convenienza, ma non c’è mai complicità, nemmeno nell’orchestrare i propri orribili piani.
Zola lo esprime con chiarezza: “Come ricompensa per le sue notti atroci, [Laurent]  volle almeno farsi mantenere in un ozio beato, ben nutrito, caldamente vestito, con in tasca il denaro per esaurire i propri capricci. Soltanto a quel prezzo acconsentiva a coricarsi con i cadavere dell’annegato“. Peccato che lo stesso ozio, perseguito come i supremo dei beni, diventi in breve il detonatore delle frustrazioni del giovane: “ L’ozio rendeva le sue angosce più crudeli poiché gli lasciava tutte le ore della sua vita per pensare alla sua disperazione e approfondirne l’incurabile durezza“.”
Anche la vecchia Raquin, che alleva la sanissima nipote come una malata per offrire conforto al suo cagionevole figliolo, vive di placido egoismo. Su questo faranno leva i due adulteri perché la loro storia riceva i crismi della legalità: la passione, però, è svanita e Laurent cerca da Therese, ormai, tranquillità economica più che antichi ardori.
E Therese? Therese sembra aver esaurito il proprio slancio vitale nella foga dell’adulterio. Fuori dall’alcova torna ad essere una donnetta querula e stridula, stritolata dalla misantropia e dai sensi di colpa.
Il rimorso che tortura i giovani nella seconda parte del romanzo diventa macabro e allucinogeno. Completamente inattuale, dunque, in un mondo come il nostro, che proprio sulla certezza dell’impunità fonda la propria serena prepotenza.

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Pubblicato da Benedetta Colella

Sono Benedetta, quarantenne aquilana innamorata del mondo. Per contatti e collaborazioni, potete scrivermi a benedettacolella(at)gmail.com