Le sale si incuneano su due piani, il profumo si spande entrando, il proprietario ostenta una simpatica spavalderia tutta romanesca che fa atmosfera
Il weekend di libri come non sarebbe stato lo stesso se anche le papille gustative non avessero partecipato alla gioia dei neuroni.
Un pasto a La greppia non era un desiderio, ma un’ossessione: avevo serbato per un anno intero il ricordo smanioso di un’inarrivabile pinsa che, qui, mi stregò.
Dopo aver supplicato invano un posto a tavola il sabato sera, prima al telefono, poi di persona, il nostro piccolo manipolo composto da tre ghiottoni, frustrato da una cena altrove estremamente deludente, si è ripresentato compatto la domenica a pranzo e ha ottenuto finalmente l’agognato tavolo.
Due stranieri vicino a noi pasteggiavano con tanta goduria che ho quasi pensato di imitarli ordinando anch’io un buon risotto, ma è bastato vedere una pinsa ben condita planare in un tavolo attiguo al nostro per tornare sulla retta via.
La pinsa, infatti, è una Signora Pizza.
È una sorta di focaccia resa digeribilissima dalla miscela di farine (soia, riso e frumento, in proporzioni segrete), un po’ più soffice della media, morbida dentro, croccante fuori e condita nei modi più disparati.
Paralizzati nella scelta dalla varietà del menu, abbiamo deciso da subito di porzionare ogni pinsa in tre parti per assaggiarne tre tipi ognuno.
Quando sono arrivate, così fragranti e croccante, in cuor suo ognuno di noi ha pensato che la propria fosse la migliore e che sarebbe stato opportuno sottrarsi a questo insolito comunismo dei sensi, ma l’affetto ha vinto sull’egoismo e tre piatti diversi, con abile gioco di puzzle, sono diventati uguali.
Nel nostro piatto facevano dunque bella mostra di sé tre terzi di pinsa: alla mortadella, al radicchio e pancetta, alle patate con salsicce, in ordine crescente di bontà e inverso di appeal.
A legare il tutto, di necessità data la mia intolleranza al latte vaccino, una squisita mozzarella di bufala.
Il gestore non si capacitava che ci fossimo autoimposti questo “limite”: “Io l’ho scritto in rosso sul menu che è possibile utilizzare una mozzarella delattosiata! Ma perché nessuno lo legge?” si è chiesto (e ci ha chiesto) sconfortato.
Caro gestore, ma chi è quell’asceta che rinuncerebbe ad una mozzarella di bufala dopo averla immaginata a lungo filare sulla pinsa? Non è più questione di salute, ma di golosità!
Sazi, ma non appesantiti, abbiamo saldato il conto, tra l’altro molto onesto (38 euro in tre) e ci siamo dati appuntamento all’anno prossimo.