Il ristorante Pisellino “uova e farina” a L’Aquila

Pisellino è il fratello minore di Patatina, nota pizzeria aquilana.
Basta guardare il logo del bagno per accorgersi che la malizia è voluta.
Goliardia o grevità?
Non ho il tempo di darmi una risposta.

Il gran fritto e la focaccia

Subito un gran misto di fritti giunge a calamitare tutta la mia attenzione.
Ora, friggere bene è un’arte.
Mille insidie si oppongono a una frittura perfetta, che deve essere rude all’esterno ma di animo tenero e, soprattutto, non deve lasciare sbavature d’unto né sul piatto né, si spera, sulla camicia.
Se il gran fritto di Pisellino fosse un attore, sarebbe il Terence Hill di “E continuavano a chiamarlo Trinità“: lo sottovaluti finché non comincia a colpire forte.
Tre supplì, tre gradi diversi di uno stesso piacere.
Sarebbero stati grandiosi anche come risotti (ai quattro formaggi, al sugo, al tartufo), figuratevi compattati e dorati da uovo e pangrattato.
C’è poi buona crocchetta di patate, che viene dall’orto e non da una busta in surgelatore.
E, al vertice di questa piramide del piacere, trionfano due piccole pizze fritte fatte come io non riuscirei mai e coronate da mortadella l’una, da prosciutto di Parma l’altra.
Violando tutti i precetti nutrizionali e razionali, faccio seguire al mio gran misto una focaccia, ben farcita con mozzarella di bufala a freddo e prosciutto crudo e letteralmente sommersa da scagliette di tartufo.
Che dire? Sublime

Focaccia con mozzarella di bufala, prosciutto crudo e tartufo di Pisellino

Piatti? What’s piatti?

Pinnicchi all’amatriciana del ristorante Pisellino

La cena di mio marito è molto più tradizionale: pinnicchi (una sorta di chitarra più larga) all’amatriciana e agnello panato con patate arrosto.
Ora, Pisellino è un locale che ha carattere.
Mima, in chiave chic, la vita degli anni Ottanta: ha un bancone in cui espone e vende la pasta all’uovo che usa anche per il ristorante (e che davvero fa la differenza) e scaffali di ottima mercanzia posizionata come in un vecchio esercizio di generi alimentari. All’interno della sala c’è invece una piccola, fornitissima enoteca.
I piatti vengono serviti direttamente nei tegamini e nelle padelle.
E non da un cameriere, ma dal proprietario in persona, che riesce, coi suoi modi spigliati, a farti sentire ospite gradito in una tavolata di amici.
La amatriciana, dicevamo, conferma l’alta qualità di una notevole carbonara che mangiammo appena prima del lockdown e che mi piace qui commemorare assieme ai miei insuperabili ravioli con olaci e spinaci, di cui conservo ancora la foto e il ricordo.
L’agnello panato è meno entusiasmante, forse anche per motivi culturali: a L’Aquila si usa, ma, per noi che abbiamo radici peligne, l’agnello senza brace è pura blasfemia.
Il conto, sui 50 euro, non riserva sorprese.

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Pubblicato da Benedetta Colella

Sono Benedetta, quarantenne aquilana innamorata del mondo. Per contatti e collaborazioni, potete scrivermi a benedettacolella(at)gmail.com